Nomadelfia è un neologismo composto da due parole greche che significa “legge della fraternità”: oggi Nomadelfia, nata all’origine negli anni ’30 vicino a Carpi nel modenese, fondata da Don Zeno Santini, si trova nei pressi di Grosseto ed è una comunità composta da 270 persone, 50 famiglie che hanno come obiettivo la costruzione di una nuova civiltà fondata sulla fratellanza.
Ludovica Albertoni testimonia l’esperienza di sua madre Maria Albertoni Pirelli quando conobbe Don Zeno nel 1949: una esperienza che sconvolse ogni suo progetto esistenziale dando restituendo un indirizzo nuovo soprattutto per quanto riguarda il problema dell’infanzia abbandonata.
Zeno Santini nasce a Fossoli di Carpi nel 1900.
Nel 1947 don Zeno, con ragazzi dell’Opera Piccoli Apostoli, occupa l’ex campo di concentramento di Fossoli che poi trasforma nella “città dove la fraternità è legge”: Nomadelfia.
Nel 1948 i nomadelfi approvano e sottoscrivono la loro prima costituzione e oggi, i componenti della stessa comunità, a Grosseto, portano avanti i valori dettati da Don Zeno scomparso nel 1981.
Nomadelfia è autonoma: gran parte dell’energia viene prodotta in loco, esiste un sistema per la raccolta dell’acqua piovana per irrigare i campi e tutte le attività diurne dei gruppi famigliari si svolgono in comunità.
Il lavoro viene svolto in perfetta parità e fraternità e i nomadelfi s’impegnano a versare al fondo comune della popolazione tutti i beni ricevuti.
A nomadelfia si producono latticini, si coltivano verdure e fiori, si alleva bestiame si gestisce in autonomia l’amministrazione.
Secondo Enzo Biagi, i tre veri rivoluzionari nell’Italia del dopoguerra sono stati Don Zeno, Don Milani e Don Mazzolari: il villaggio di Don Zeno costituisce l’unico motivo di speranza.